Prefazione di Giuseppe Michele Gala.
L’insularità per i sardi è un topos storico, quasi mitico, metafora stessa della propria condizione esistenziale e collettiva; ma oggi con l’abbattimento delle distanze fisiche e delle barriere mediali, questo bel mare che circonda la Sardegna è, secondo i casi, limite e protezione. Eppure realmente la cultura sarda ha saputo essere più “isola” di altre aree del Mediterraneo per una complessa coincidenza di ragioni geografiche, storiche, socio-culturali ed economiche, nonostante il fatto che anche qui migrazioni e dominazioni abbiano prodotto flussi umani, contatti ed integrazioni.
L’insularismo, o la consapevolezza di una diversità etnica, sul quale fonda le proprie basi l’idea sardista, si riflette in profondità nelle radici culturali sarde e trova giustificazione in un profilo di popolo dai forti lineamenti autoctoni o quanto meno specifici, che si manifestano in molti aspetti della cultura tradizionale. La musica e il ballo sono fra i tratti distintivi più esemplari della civiltà sarda, e sono stati assunti a emblema paradigmatico del folklore dell’isola, sin dalle cronache diaristiche dei viaggiatori dei secoli scorsi. Ancora oggi i molti etnomusicologi e i rari etnocoreologi, che da ogni parte del mondo vengono a studiare la realtà coreomusicale dell’isola, vivono la piacevole sensazione di immersione beata in una specie di “paradiso terrestre demologico”, sempre più raro nel mondo occidentale. L’effetto derivato è spesso quello di considerare la tenacia di certe espressioni come una staticità rassicurante, come una ideale macchina del tempo per constatare il “come eravamo”; per altri versi la cultura osservante, soprattutto se esterna al vivere quotidiano dell’isola, è tentata di ripercorrere la sindrome del “mito del buon selvaggio”, che ha permeato una certa demopsicologia sette-ottocentesca. L’insistere di tale corrente interpretativa, propagata dai mezzi di informazione, ha creato effetti di ricaduta tra la gente: l’autoconvinzione di essere “particolari”, di conservare modelli espressivi che risalgono alla “notte dei tempi”, il ribadimento frequente di questa specificità tutta sarda porta poi ad assumere e da impersonare ruoli e fisionomie conseguenziali. Questo stesso meccanismo ha contribuito a perpetuare l’”antico”, e a fortificare l’attuale identità culturale di popolo.